Un mattino ero sceso nel paese per i quotidiani pane e giornali e me ne stavo
ritornando a casa. Pedalavo tranquillo quando sentii arrivarmi alle spalle il
rumore di un possente e troppo veloce automezzo. La strada in quel punto è
stretta e mi portai a filo dello spigolo della casa a destra. Quel fracasso era
minaccioso e faceva tremare la terra. Il mostro passò a risico e continuò come
un dinosauro arrabbiato; ma quel tir aveva pure un rimorchio e il risucchio
stava per tirarmi sotto. Mi sentii sfiorare dalla morte come raramente mi era
capitato in guerra. Questo fatto avvenne in minor tempo di quello che avete
impiegato a leggere queste righe e da allora ho smesso di andare con la
bicicletta. Mi dispiace, ma con l'età che mi ritrovo, ora non sarei più capace
di uscirne vivo.
Vado a piedi; preferisco morire su una montagna sotto un larice d'autunno. Fin
che posso cammino in silenzio, anche se il mio passo è diventato lento; anche a
scrivere e coltivare l'orto. Anche a leggere. Sono diventate lunghe le notti e
brevi i giorni. Ora vado in silenzio e non sonno nemmeno più capace di imitare
il canto degli uccelli o il richiamo del capriolo.
Nell'inverno appena trascorso, lungo nevoso e freddo, le lepri mi avevano
scorticato tre giovani meli che avevano incominciato a darmi i pomi, così che
ho dovuto tagliarli. Consideravo: meglio due lepri vivi che qualche chilo di
frutta; ma dieci anni fa non avrei pensato così.
Fu durante una pioggia estiva che sorpresi un maschio di capriolo al tempo degli
amori e la sorpresa fu reciproca: mi minacciò a testa bassa puntandomi le corna
e sberciando. Gli risposi agitandogli davanti il bastone e pur io sberciando. Si
ritirò nel fitto bosco. Molti anni fa sorpresi anche una famiglia di urogalli
al pascolo tra i mirtilli. Ma saranno ancora possibile questi incontri?
Motoslitte d'inverno e fuori strada di estate non sapranno mai quello che ci
fanno perdere.